venerdì 9 dicembre 2016

Roberto contro Roberto. Povera Napoli


“Cari concittadini, quando vedete questi disservizi della ACEGAS, che gli diamo 38 milioni all’anno, telefonatemi. Perché giusto, noi non siamo a Napoli”

Sono queste le parole di Roberto Dipiazza, durante una sorta di video slogan dove esorta i suoi concittadini a “telefonarlo” - ovviamente intendeva di contattare il comune, ma ormai, con i fare populisti ai quali siamo abituati, non ci meravigliamo più di niente – quando e se incontrano disservizi come quelli che nel video si presentano come ammassi di sacchetti della spazzatura sparsi per strada.


L’ignoranza, i luoghi comuni, la discriminazione, lo sappiamo, esistono e non ci spaventa né ci scandalizzano più di tanto. Non è questo il punto della mia analisi.

Il fatto è che proprio dal nord-est Italia, pare siano arrivate le prime scorie da smaltire nel sottosuolo campano. Quelle che poi hanno fatto degenerare la situazione nella crisi dei rifiuti nota a tutto il globo, terminata nel 2011. 5 anni fa!

Il mio accenno alla provenienza dei rifiuti che hanno ingombrato, stuprato e mortificato il sottosuolo napoletano, casertano e laziale, non viene però da studi fatti da me. Anzi, ammetto di non essere un esperto dell'argomento.

 Uno dei primi che ha denunciato questa tragedia ambientale, dove la Campania è stata letteralmente umiliata, è stato colui il quale con un solo post sui social network riuscirebbe a raggiungere più di 3 milioni di persone e con un intervento in tivvù o sui giornali, probabilmente ne raggiungerebbe il triplo.

Costui potrebbe pronunciarsi e per una volta spiegare a signori come Roberto Dipiazza, che la Napoli verso la quale sputa veleno, è stata inginocchiata dalla spazzatura che le aziende del suo territorio non volevano smaltire legalmente perché costava troppo.

Ma queste cose, mi ripeto, non le sto scoprendo io. Queste cose le ha denunciate nel celebre best seller “Gomorra”, nientepopodimeno Roberto Saviano.

Quanto desidererei fargli una domanda: Roberto, per curiosità, senza neanche rubare troppo al tuo tempo, perché non fai un copia e incolla di quello che scrivesti anni fa, così da far capire a quest’omuncolo che il suo “non siamo a Napoli” ha una ragione economica, gestita dal malaffare di qualche gruppo di mafiosi che inquina la nostra terra più di ogni altra spazzatura?

Perché per una volta, non prendi la situazione in mano e dimostri che le mafie, ascoltando le parole di quest’uomo e di chi come lui, non fanno altro che gonfiarsi e che invece le sgonfierebbero le accuse e le dita puntate contro. Mi spiego meglio, se Dipiazza volesse fare retromarcia, potrebbe serenamente dire “forza, difendiamoci dalle mafie…”. Ma gli ritornerebbe difficile, perché le istituzioni scendono quotidianamente a patti con il malaffare. Non solo a Napoli. Non solo in Italia.


Ma questo è solo un mio sogno. Come è un sogno che Roberto Saviano intervenga sull’argomento, illuminando i nostri concittadini italiani che Napoli ha avuto le strade piene di immondizia e molti la ricordano ancora in quello stato, perché per l’ennesima volta, pochi arroganti e beceri camorristi, hanno riempito le proprie tasche, a discapito di un popolo che spesso è abbandonato dalle istituzioni.

Diego Ruggiano

lunedì 5 dicembre 2016

Nun ve reggae più



Inizio a bere il mio cappuccino e ripenso alla serata di ieri sera.


L’attesa dei risultati referendari che avrebbero decretato l’ennesima caduta di un governo italiano.


Quasi il 70% degli aventi diritto di voto hanno espresso il loro parere.


Il NO ha stravinto. 59.1% a 40.9%. Fine della storia. Tutti a casa.


Il cappuccino si fredda. Farei meglio a berlo in fretta e ad alzare il sederino dalla sedia per iniziare a dare un senso a questo lunedì.


MI viene in mente una canzone, la cambio leggermente – come ultimamente sono solito fare – e inizio a canticchiare nella mia testa “nun VE reggae più”.


Rino Gaetano, nel 1978, ci aveva visto piuttosto lungo.


 


Io proprio non reggo, dopo una partita di calcio e dopo i soldi spesi dalla FIFA per lo spot contro il razzismo, che Lulic se ne esca con la storia dei calzini venduti a Stoccarda da Rudiger. Non me la sento di fare il perbenista nei confronti dell’argomento “razzismo”. Penso sia insito in ogni singolo essere umano, fa parte, ahimè, del gioco della vita. Non esisterà mai un mondo senza il timore e a volte il disprezzo del diverso. Ma porca vacca Lulic, ma hai mai sentito parlare di responsabilità? Guadagnare tanti soldi perché lo sport che pratichi è ben pagato dagli sponsor ed ha tanta rilevanza mediatica, vuol dire anche sentire il peso delle azioni che compi e delle parole che ti escono dalla bocca. Ce lo ricordiamo Superman? “Grandi poteri, grandi responsabilità”. Il potere mediatico non è una cavolata. A quel microfono, in quella intervista, per non mettere in modalità ON il tuo cervello, hai buttato nel water anni e anni di lavoro che le istituzioni hanno provato a fare nella formazione dei valori morali delle nuove leve.


 
Non reggo più neanche De Luca, che alla stregua del calciatore della Lazio, nel periodo di campagna referendaria, se ne uscì con un gloriosissimo “Impresentabile? Bindi infame, da uccidere”.
In un paese civile, un’affermazione del genere da parte di un uomo che rappresenta lo stato, non sarebbe passata come scandalo solo sui rotocalchi. Anzi, ho come la sensazione che sarebbe finita direttamente in aula di tribunale. Perché di offese alle persone se ne fanno tante, i linguaggi diventano sempre più coloriti, ma un uomo dello stato, che dovrebbe essere integerrimo, non può cadere così in basso in un dibattito politico. In questo caso nel Water sono stati buttati i cardini del buon senso e della civiltà politica occidentale. La costituzione, quel giorno, ha visto la sua più grande sconfitta, in quanto resta in un paese dove l’abc del fare politico ha perso la bussola.


 
Non reggo più neanche Marco Travaglio. Proprio non lo reggo più. 10 anni che lo seguo, mai che avesse fatto retromarcia su qualcosa. Dio a confronto è più autocritico. Il mentore del giustizialismo dall’Italia dei Valori ad oggi. (Qualcuno l’aveva dimenticata l’IDV vero?!?). Io non voglio entrare nel merito delle ragioni del Si o del No. Almeno non ancora. Ma il buon Marco che a qualche giorno dal voto fa l’elenco delle celebrità che avrebbero votato NO, annoverando tra questi cantanti, artisti e persone dello spettacolo – a memoria ricordo anche Ficarra e Picone – non mi fa capire altro che il cittadino non deve comprendere cosa la proposta dice, ma solo quale vento seguire.
Qualcuno mi potrà contraddire dicendo: “eh no, l’hanno spiegata e come”. Lo so, l’hanno spiegata, ma l’hanno fatto sempre o da un lato o dall’altro. Nessuno che si sia messo lì a fare un po’ di sana cultura costituzionalista e spiegare cos’è il TITOLO V, come vengono assorbite le leggi europee da un ordinamento, come vengono gestite alcune materie etc. etc.
Dubito fortemente che dopo questo referendum i quasi 33 milioni di votanti, sapranno come funziona l’approvazione di una legge, a chi è consentita la proposta, a chi l’analisi e a chi lo sviluppo. Beata ignoranza la nostra. Sia per la classe politica che per l’élite economica, che sa di poter contare su un popolo belante.


 


Non posso mica reggere la storia delle matite? Pare sia partita da Piero Pelù, il cantante. Dico “pare” perché mi sono rifiutato di approfondire. Anzi, non rifiutato, mi sono proprio vergognato. Questa delle matite è una breve storia che mischia ignoranza, diffidenza, dietrologia e giustizialismo gratuito. Tutte tendenze che vedevano i primi germi pascolare in seno all’ IDV (italia dei valori, di Di Pietro, di cui sopra) e hanno visto poi esplodere la loro forza batterica in una grande influenza virale, con il nome di………!
Che faccio ve lo dico? Così non mi salutate più? Ma si dai. Movimento 5 Stelle. Ma di questo magari ne parleremo un’altra volta. Pe rchi lo conosce, Federico Buffa docet “ma questa è un’altra storia”.


 


Ad ogni modo.


Questo referendum sulla costituzione è stato trasformato come spesso succede in Europa, in una gara a chi fa la pipì più lontano.
Nessuno ha fondato il suo argomentare politico sulla discussione tecnica. Si è votato per dare un dissenso al governo Renzi e per manifestare una volontà di cambiamento.
E fin qui mi può pure andar bene. Ha davvero un senso: vado alle urne perché chi propone questo cambiamento mi fa così tanto vomitare che con il mio voto voglio dirgli che non è legittimato a proporre un bel niente.
L’unico mio dubbio viene dal fatto che le forze del NO, sono tutti partiti politici che non si unirebbero in una coalizione di governo neanche sotto tortura. O quasi tutti.
Mentre quelle del SI, farebbero ed hanno fatto, anche patti col diavolo pur di governare. E partire da una base del 40%, non è proprio così malvagio.


Vuoi vedere che con questo referendum altro non hanno fatto che misurare la forza delle “ICS” in caso di elezioni?


 I miei sono solo dubbi. Perché la verità in questo paese,  si sa, ce l’hanno in tasca solo i vari Mentana, Travaglio, Saviano e opionionistotti vari.


Bene, è tutto. Anzi male. Il cappuccino è da buttare.

martedì 22 luglio 2014

Israele da vittima ad aguzzino

Il mondo intero sa delle violenze perpetrate da Israele ai danni dei palestinesi.
Il mondo intero conosce le barbarie che i militari israeliani compiono contro i civili palestinesi.
Il mondo intero è consapevole dell'occupazione illecita avvenuta in Palestina.
Il mondo intero ricorda la storia.
Eppure, stamattina, apro la versione online di Repubblica e leggendo un pezzo nella sezione esteri, mi rendo conto che un giornalistucolo pretende che il mondo non sappia, non conosca, non sia consapevole e non ricordi la storia. Nulla.
In questo orrendo articolo la Palestina sembra l'aggressore. I palestinesi sembrano essere il lupo cattivo che non vuole abbandonare il principio di condividere una terra con qualcun altro.
Quanto può durare questa prostrazione globale?
Vogliamo davvero che Israele elimini in maniera coatta e definitiva il popolo palestinese?
E se davvero ci riuscisse? Perchè credetemi, ci riuscirà, il mio scopo, e di tutti coloro che urlano alla fine delle ostilità sarà solo uno: spiegare che lo stato di Israele, dopo la seconda guerra mondiale ha compiuto l'oscena realizzazione di un nuovo OLOCAUSTO. Niente di meno di quello che era accaduto agli ebrei nella Germania nazista.
Israele, il suo esercito e la parte della sua popolazione che tace davanti a tutto questo, si stanno macchiando di crimini contro l'umanità. E se non saranno le organizzazioni internazionali a punirli, sarà la coscienza delle generazioni che verrano ad additarli come assassini nazisti.

sabato 23 febbraio 2013

Ecco chi voto


Ho provato a resistere, ma alla fine, proprio nei giorni di silenzio elettorale ho sentito un forte bisogno di dire la mia. L’unica cosa che è arrivata al limite è la mia nausea all’ascolto di frasi ad effetto come : “Votare è un dovere civile” “Se non voti dai il voto alla maggioranza” “Non so chi voto ma comunque vado alle urne”. Fermo restando che la stragrande maggioranza di chi esprime queste frasi a mo’di assiomi insormontabili non capisce un emerita mazza di sistemi elettorali, doveri civili e diritto al voto, ci tengo a focalizzare la mia attenzione non tanto sulla scelta della “X” da apporre sulla scheda elettorale, bensì sull’importanza di scegliere un governo.

Noi non scegliamo. (giuro che solo qualche rigo sarà pesante)
Avrei voglia di affrontare un excursus sulla storia del voto e del potere. Ci perderei ore, pagine e a dire il vero non so se ne sarei capace – la distanza tra sapere e spiegare è immensa – pertanto, vorrei solo ricordare che dall’ancien regime, alla rivoluzione francese fino alla creazione degli stati-nazione, è cambiata la forma ma non il contenuto. Il passaggio è stato da sudditi a cittadini, ma le vessazioni e la capacità di scegliere come si articolerà il futuro di un’intera comunità di persone (siano loro feudo, stato o unioni di stati) non è cambiata di molto.
L’analisi di un periodo storico non può prescindere dai rapporti di forza economici che vigono in quella data società in quel dato periodo storico. Non posso non considerare che chiunque salga al potere sarà inevitabilmente condizionato da un interesse economico nascosto alle sue spalle. La politica è solo l’ultima delle matrioske, le bambole al suo interno sono ben nascoste e più influenti.
Non alludo all’unione europea, alla moneta unica o al potere d’acquisto della vecchia lira, è ben lungi da me spalleggiare discorsi sentiti e risentiti sui palchi in questi giorni. Parlo di poteri economici, poteri che hanno fatto crollare nazioni intere, poteri che hanno prosciugato le liquidità delle banche per mettere in ginocchio i paesi alla stregua di un risiko della realtà.

Passata questa parte di tedio, provo a ringiovanirmi e a passare alle cose di tutti i giorni.
L’avvento del fascismo, per quanto se ne voglia dire, non è assolutamente stato un evento traumatico per l’Italia dell’epoca. Molti, che negli anni successivi all’insediamento di Mussolini hanno rinnegato il regime, erano entusiasti di una pulizia politica. Si veniva da un interventismo gestito male, da una politica che aveva bisogno di svecchiarsi, con dei dinosauri seduti in parlamento da secoli che, seppur passati alla storia come grandi statisti, ricevevano violenti critiche. Il fascismo fu l’antipartito che odiava tutto il “vecchio” promuovendo un confuso e poco lineare “nuovo”.  Certo, stavolta l’allusione c’è e si vede: il movimento 5 stelle.
Quando iniziai a studiare la storia dei partiti italiani e con se, l’avvento di Benito Mussolini, mi feci una domanda ritenuta assurda e scandalosa dai miei amici simil-comunisti: “chissà se fossi stato fascista vivendo negli anni ’20”. Blasfemia. Eresia. Tuonarono in tanti dicendo che stavo vaneggiando. Ora, con questo M5S so darmi una risposta: “No, non sarei stato fascista, ho un cervello, vostro malgrado”.
Non vinceranno le elezioni, eppure è il fenomeno che più mi spaventa. Poco mi interessa di Berlusconi che in un modo o nell’altro non sta lasciando alcuna eredità, quindi scoccata la sua ora, non lascerà che un triste ricordo alla storia di questa nazione e alla mafia che prova a gestirla.
Neanche voglio focalizzarmi su un farraginoso PD, che prova a mettere insieme cause di una vecchia sinistra travestendosi da democratici e facendo pace con la DC di una volta. Figuriamoci se voglio perder tempo con un centro formato da Monti – Fini – Casini, mi fanno solo sorridere.
Ripeto: quello che temo è l’evolversi del M5S, che di suo, scritto così, sembra il nome di un fucile!

Ecco, lo sapevo, alla fine ho parlato di politica. Ahimè.
Ma se la politica non è che un surrogato dell’economia, perché votiamo? Perché facciamo finta di scegliere questo o quel governo, se alla fine oltre a qualche imu in più e qualche macchina blu in meno, non cambia mai nulla? Cosa dovremmo fare?
Nella società del consumo, dove il mio Ipad vale molto di più delle tue conoscenze e la tua macchina da migliaia di euro vale più della mia volontà di voler mettere su famiglia, il “cosa fare” è un oggetto non identificato che giace nelle coscienze di ognuno di noi ma non trova né voce né rumore.
Ho trovato un flebile suono nella mia coscienza nel NON VOTO. Mi rendo conto che è inutile votare, che se il potere decide di mettere in ginocchio l’Italia o l’Europa, lo fa a prescindere del mio e del vostro voto.
Mi basta leggere qualcosa sul “lunedì 19 ottobre 1987”, solo così capisco che ogni mattina mi devo svegliare, devo combattere e sopravvivere, e che nessuno dei quattro pagliacci candidati potrà mai darmi un futuro. Il mio futuro è nelle mani di un’economia demiurgica che decide per me. In un mondo globalizzato fondato sui consumi e sui servizi, le nostre scelte sono sempre meno importanti. Tornare allo stato embrionale, dove la decisione di 1000 persone influivano sulle scelte di una città intera è ormai impossibile. Siamo belli e che imbrigliati in una ragnatela di debiti, l’unica speranza è di continuare a stare dalla parte dei creditori o almeno sotto la loro protezione.

Io non voto. Perché non conto un cazzo. Proprio come te che hai appena finito di leggere.

DR

lunedì 23 gennaio 2012

Corsi e ricorsi storici?

“Un paese che ogni poco deve mobilitare l’esercito per mantenere l’ordine interno non può reggersi a lungo. Ciò che occorre è eliminare la causa del disagio, che è provocato dalle sperequazioni economiche e sociali”. Scriveva questo su La Stampa, più di 100 anni fa, Giovanni Giolitti, uomo di Stato alternatosi al potere più volte tra la fine dell’800 e il periodo subito precedente alla prima grande guerra.
Nessuno vuole suonare sirene d’allarme, tantomeno presagire un futuro poco aureo, però, non notare alcune analogie con il passato, sarebbe un tantino superficiale. Proviamo a fare un gioco, uno di quelli che un professore di storia potrebbe intentare ad una classe al liceo. Riesumiamo i nostri ricordi scolastici o universitari e facciamo lavorare la fantasia, perché è con questa che si può accendere il nostro senso critico.
Fine 1800 inizi 1900: la crisi del capitalismo.
Questo periodo storico a cavallo dei due secoli, viene spesso connotato come la prima crisi del sistema capitalistico occidentale. Eppure in Italia, dopo appena quarant’anni di unità, la situazione economica poteva apparire fiorente: numerose fabbriche avviavano le loro produzioni e altrettante città si ingrandivano grazie a lavoratori che provenivano dalle campagne. Nonostante tutto, questo sviluppo fu caratterizzato sin dall’inizio da pesanti squilibri: il protezionismo ebbe l’effetto di approfondire il divario fra la produttività dell’agricoltura settentrionale, già sviluppata e capace di rinnovarsi tecnicamente, e quella meridionale, che al riparo della tariffa doganale poté sopravvivere senza rinnovarsi.
Inizi 1900: futurismo e  decadentismo
Nel decennio precedente alla guerra queste due correnti – che sarebbero indubbiamente banalizzate se si provasse a descriverle in due righe – posero le basi teoriche per la venuta del regime fascista. Le idee rivolte al futuro, sprezzanti di quello che era il passato e le sue forme d’azione, furono poi terreno fertile per chi, come Mussolini, doveva dare una giustificazione ideologica al neonato partito fascista.
1891 - 1893 fasci siciliani.
Anche se la parola “fasci” richiama inevitabilmente il legame con il movimento che caratterizzerà l’Italia dal 1922 alla seconda guerra mondiale, i fasci siciliani, nati alla fine dell’800, altro non furono che l’espressione di un malessere condiviso in tutto il sud. Le occupazioni, gli scioperi e le manifestazioni finirono però nel sangue. Dopo due anni di rivolte contro lo stressante peso delle tasse imposte da un’Italia sempre più in affanno economico, le manifestazioni vennero represse con la forza, dall’allora presidente Crispi.
1892 – 1914 alternarsi dei governi Giolitti.
Una delle accuse mosse allo statista piemontese è quella di non aver mai eliminato il clientelismo nelle stanze del potere italiano. Proprio lui, ricevendo quest’accusa rispose: “Un sarto, quando taglia un abito per un gobbo, deve fare la gobba anche all’abito”. Il continuo riaffacciarsi alle stanze più alte del governo italiano durò per più di 20 anni e addirittura, dopo la fine della prima guerra mondiale, ebbe l’infausto compito di gestire un governo che avrebbe poi ceduto il passo al duce.

A questo punto, a nessuno viene in mente nulla?!?
2001 – 2012 crisi economica mondiale.
2011 – 2012 movimento dei forconi, scioperi massicci in tutta la penisola
2001 – 2012 Correnti anti islamiche chiamate “guerra al terrorismo”
1994 – 2012 Alternarsi dei vari governi Berlusconi

Questi  quattro punti non vogliono in nessun modo creare dei collegamenti forzati al passato, soprattutto perché le contingenze storiche, politiche e strutturali, sono completamente diverse.
La nascita dell’Unione Europea, in parole spicciole, aveva tra i suoi scopi principali, quello di evitare nuovi conflitti. I continui contrasti tra Francia e Germania, dall’unità di quest’ultima fino al suo smembramento alla caduta del regime nazista, trovarono una soluzione nella nascita del soggetto politico Europa. Di conseguenza, la crisi dell’Europa può corrispondere alla crisi della pace. L’attuale crisi economica sta spesso portando a parlare di scioglimento dell’unione monetaria e politica. Il solo parlarne accappona la pelle!
La UE è una di quelle contingenze strutturali che cento anni fa non esisteva, ragion per cui, può essere ritenuta una diga al mantenimento della pace.

Altra contingenza storica è l’esistenza di un grande colosso economico come la Cina. Per quanto gli USA all’epoca degli inizi del secolo scorso fossero una grande potenza economica, non avevano di certo lo stesso peso dell’attuale paese dagli occhi a mandorla in un’economia globalizzata. Il contrappeso orientale ad un’economia capitalista occidentale è di sicuro l’ingrediente che cento anni fa mancava.
Nello scenario mondiale – nel quale l’Italia entra non da protagonista, ma da attore con qualche ruolo importante – non è da mettere in secondo ordine la crisi mediorientale. Dopo la dissoluzione dell’impero ottomano, Inghilterra e Francia, fecero a gara per assegnarsi quanti più territori possibili. L’accordo Sykes – Picot (gli allora ministri degli esteri delle due potenze europee) definì sommariamente confini e domini in quell’area. Come ogni conquista sommaria però, quella parte di mondo si rivoltò contro i suoi colonizzatori, fino a diventare teatro di scontro indiretto per URSS e USA durante la guerra fredda. Adesso, con l’Iran che minaccia lo stato d’Israele, e con quest’ultimo che ancora non molla sul piano delle trattative con gli stati arabi, la situazione rischia ogni giorno di essere sempre più incandescente.

Segnali importanti arrivano anche dalle regioni balcaniche che, sempre dopo il vuoto di potere causato dalla dissoluzione del’impero ottomano, a distanza di cento anni, continuano l’evoluzione dei confini – l’esempio del Kosovo e del  Montenegro la fanno da padrone – dando comunque un allarme di instabilità ai paesi come l’Italia, la Germania e la Francia, che si sono sempre occupati di quella zona.

Se poi qualcuno come Nigel Farage in seno al Parlamento europeo, accusa gli alti piani dell’Unione di causare la caduta dei governi e accentrare sempre di più il potere, venendo meno al principio fondante dell’unione, rischiamo davvero di essere alla frutta, se non all’ammazzacaffè!

Ah, dimenticavo, un’ultima e stupida coincidenza: aprile 1912 affonda il Royal Mail Ship Titanic. Gennaio 2012 affonda la Costa Concordia.

lunedì 24 ottobre 2011

Muore a 24 anni

Terremoti, guerre, tragedie e attentati. Ci sono bambini, donne, anziani e innocenti che vanno via con questi eventi. Non esistono morti importanti e morti di secondo piano. Ogni trapasso gode dell'eco che aveva durante la vita. Un uomo solo non lo piange nessuno, la fama in vita gli si ripete in morte. Eppure, chi è stato in compagnia per tutta la vita, resta pur sempre solo nell'ultimo istante. Non c'è gloria né fama nell'ultimo respiro...tutto va via, e nulla è più è importante.
Da gloria a silenzio, l'immortalità è solo nella memoria di chi resta.
A Marco Simoncelli.

lunedì 12 settembre 2011

11 settembre: la pubblicità di una strage

Ieri, 11 settembre 2011 la memoria dell’umanità intera versava il suo ricordo verso il terribile attacco terroristico alle torri gemelle. Vacui oppositori di questa memoria, hanno voluto ricordare che l’11 settembre è anche il giorno del golpe Pinochet in Cile nel 1973, altri, invece, hanno addirittura riesumato l’11 settembre 1926, commemorando il fallito attentato al duce.

Beh, c’è da dire che la fantasia non manca.

Potrei provare ad elencare i milioni di morti causati dalle guerre contro il terrorismo negli ultimi 10 anni, ma anche questo conteggio, mi sembrerebbe un po’ privo di creatività.

Altrimenti tento di toccare i vostri cuori accennando alle vittime palestinesi e israeliane negli ultimi 70 anni, è un argomento abbastanza in voga, sono certo di riscuotere un discreto successo.

Mi sa, in seguito a questi miei tentativi di commuovere il lettore, che le tragedie di rilevanza mediatica sono molto simili alla disputa che c’è tra CocaCola, Pepsi e le varie sottomarche da discount. Ovvero, per essere più chiaro, chi conquista più fette del mercato pubblicitario vende di più.
Perché poco importa se muoiono bambini nel corno d’Africa a causa di una guerra per le falde acquifere o per i traffico di armi, o se sono lavoratori israeliani e palestinesi che vanno tranquillamente a lavorare di mattina, l’importante, è quanto queste notizie devono fare il giro del mondo, quanto, questi avvenimenti devono toccare il cuore delle persone.
Non voglio credere che ci sia una stanza dei bottoni a deciderlo – la pianterei con queste dietrologie ossessionanti – ma di sicuro, a determinati poteri fa più comodo che in Europa e nelle Americhe, con eco di portata globale, si commemori l’11 settembre anziché, per tirare il primo esempio che mi viene in mente, il 16 settembre 1982 di Sabra e Shatila. Secondo voi – adesso che mi è venuta in mente questa mattanza, permettetemi di ricamarci un po’ su – tra 4 giorni, salvo qualche comunistello figlio di papà che vuole fare il saccente su qualche social network, qualcuno ricorderà qualcosa?

Domanda retorica, perché si sa, i massacri hanno un peso proporzionale alla pubblicità che ricevono. Una mamma libanese, non ha lo stesso spessore mediatico di una newyorkese che telefona alla figlia dal 150esimo piano delle infuocate twin towers.

Hollywood in questo caso ha dato una forte mano a tutto il processo di memoria: quanti sono stati i film che parlano dell’abominevole attacco nel cuore dell’occidente? Tanti, e tutti molto commoventi, per l’amor di Dio, eppure, non riesco mai a capire perché Srebrenica deve essere raccontata da canali alternativi e pellicole di nicchia, mentre per New York hanno scomodato il vampiro di Twilight!

A questi interrogativi non troverò mai risposta. Per il momento non mi resta che subire passivamente i visi tristi di Obama e Bush davanti Ground Zero e sapere che quando Paul Kagame (tranquilli, non è una parolaccia ma il nome di un capo di Stato del quale non conosciamo praticamente nulla) commemorerà le non precise cifre di morti avvenute nel suo paese negli anni ’90, nessun giornale occidentale gli dedicherà neanche un trafiletto. Perché le stragi del suo Ruanda, che hanno fatto vergognare la storia del XX secolo, non possono avere lo stesso peso del world trade center.

DR

venerdì 5 agosto 2011

Twitter

E da ora anche su twitter: http://twitter.com/#!/LasciamiScriver con informazioni, aggiornamenti e link.

mercoledì 3 agosto 2011

...di ritorno dall'ade...

Eh si, possiamo dire che questo blog giace nei meandri della rete senza che nessuno lo curi più. Un po' come la mia vecchia piantina di basilico lasciata al sole per giorni.
LasciamiScrivere sta però tornando, con nuove idee, nuove intenzioni e nuove energie.
Agosto sarà il mese del "lavori in corso"...settembre quello dei risultati.
Inviate le vostre mail all'indirizzo su la barra destra...sarete parte fondante di questo blog.
Cordialmente,

LS

giovedì 16 settembre 2010

'Balconing' la moda che uccide

Pubblicato da www.inviatospeciale.com

Buttarsi da un balcone alla piscina che si trova al centro del cortile di un hotel, oppure cercare di arrivare con un salto in un’altra camera, da balcone a balcone: ecco una delle tendenze di quest’estate, che sinora ha mietuto già 9 vittime. Senza considerare chi, senza centrare l’obbiettivo, è caduto riportando conseguenze gravi.

E’ successo alle Baleari quest’estate, le stupende isole spagnole tanto desiderate dall’Italia durante il ventennio fascista, che negli ultimi decenni sono diventate mete di divertimento, musica, discoteche, alcol ed eccessi per i giovani di tutta Europa.

Quello del ‘balconing’ – così è stato battezzato questo estremo fenomeno – è solo l’ennesimo capitolo di una saga di eccessi che caratterizza la vita, spesso noiosa, monotona e senza grandi scopi, di migliaia di giovani provenienti da ogni dove.

Per quanto tutto questo possa aver attirato l’attenzione dei media che, scandalizzati dal modo in cui un giovane possa buttare via la propria vita, non hanno fatto altro che speculare sull’accaduto e raccontare la storiella condita di enfasi e tristezza, non si può non interrogarsi sull’inevitabile annichilimento verso il quale le generazioni di oggi si stanno portando.

Alcol e droghe caratterizzano le serate di movida di molte generazioni e non è di certo un caso se le morti per incidenti stradali del fine settimana hanno delle cifre simili ai bollettini di guerra. Ma come risolvere il problema degli eccessi? Come evitare che migliaia di giovani vite vengano troncate in preda all’irresponsabilità?

La tendenza è quella di obbligare il cittadino, tramite leggi, multe e arresti, a non avere determinati comportamenti. Il proibizionismo, in questo caso, la fa da padrone. Eppure i risultati sembrano non mutare: a tutt’oggi, l’alcol risulta al terzo posto tra le cause dei principali incidenti per strada. I divieti aumentano esponenzialmente, l’educazione del cittadino, invece, non trova alcuno spazio se non nelle pubblicità progresso che negli ultimi periodi troviamo nelle stazioni ferroviarie.

Quanto alle droghe, leggere e non, la situazione appare sempre più critica. Oltre ad essersi abbassata l’età media della prima “pippata” – è infatti all’ordine del giorno ascoltare tra i giovani adolescenti allusioni a serate passate consumando coca – aumenta anche l’accessibilità economica di questa. Se prima veniva venduta di grammo in grammo, adesso, anche tra le strade dei quartieri più centrali della capitale, non è difficile reperire piccole dosi a minor prezzo.

L’annichilimento è quindi alle porte: la più completa perdita di valori e punti di riferimento è all’ordine del giorno. Non è un caso che l’adolescente medio italiano passi due o più ore al giorno a vegetare davanti a facebook o guardando la tv fonte di falsi miti e idoli da seguire. Chi non riesce a tenere il passo del modello creato in una società – dicendolo alla maniera di Bauman, famoso sociologo polacco – rischia quotidianamente di rifugiarsi nelle brame del consumo, abbandonandosi alla libidine e agli eccessi.

Vista in un’ottica del genere, il ‘balconing’ non è più una storiella da raccontare, accaduta quest’estate alle Baleari, ma un problema di fondo della nostra società che troppo spesso perde di vista le nuove generazioni, lasciandole nell’abbandono e nell’autodisciplina. Si, perché se un ragazzino non ha una famiglia alle spalle, oggi, non trova alcun posto dove ricevere uno straccio di formazione.

Puntiamo quindi il dito contro la movida di quelle isole, contro certi ragazzi che passano le serate al limite del divertimento, utilizzando ogni tipo di stupefacente, ma non ci rendiamo conto che questo stile di vita è figlio di un abbandono che avvolge tutti noi, dall’informazione, ai programmi televisivi, alle letture alle quali ci dedichiamo, agli interessi che coltiviamo.

Se oggi si pratica ‘balconing’, domani quale futuro ci aspetta?

Diego Ruggiano