Scritto da Diego Ruggiano
Con non troppa paura, ma con aria affranta e forse anche un bel po’ delusa, Enrico, un giovane napoletano di 24 anni, ha riassunto la situazione dei licenziamenti nella sua azienda negli ultimi periodi: “Circa un anno fa eravamo 45, adesso siamo solo 7 e a giugno hanno già avvisato che potremmo rimanere in 4”. Il settore in cui opera la società per cui lavora è quello delle reti idriche e fognarie, un settore delicato, non immune dalla crisi.
“Mangiamo grazie alla politica, continuano a dirci che se salgono le persone giuste in Campania continueremo ad avere lavoro, altrimenti si va tutti a casa”. La sua azienda, infatti, sembra campare grazie all’assegnazione dei subappalti da parte delle compagnie più grandi che gestiscono gli acquedotti. Tutto verrebbe assegnato “per far mangiare tutti”.
Enrico insiste nel dire che sono finiti i fondi statali, “lo Stato non devolve più i fondi, quindi non ci sono più i subappalti per noi”: si riferisce probabilmente al decreto Legge 13 del 1992, che consentiva, attraverso la creazione di un “piano finanziato mediante fondi a carico del bilancio dello Stato, risorse proprie delle regioni e degli enti locali e con i proventi derivanti dall’applicazione delle tariffe dei servizi di acquedotto, fognatura e depurazione”.
I delicati e talvolta occulti meccanismi dei vertici, però, hanno conseguenze su chi, come i 38 ex colleghi di Enrico, si sono ritrovati, pur possedendo un contratto a tempo indeterminato, senza un lavoro. Quelli che dopo aver chiesto l’indennità di disoccupazione sono riusciti a percepire un salario minimo per altri 8 mesi hanno avuto un po’ di tempo per organizzarsi, mentre coloro i quali non avevano ancora accumulato i due anni di lavoro continuo si sono ritrovati, dall’oggi al domani, senza percepire un euro.
Con la motivazione della “mancanza di lavoro”, l’azienda è riuscita a sbarazzarsi di tutti i dipendenti ormai in esubero. Molti di loro, stando a quanto racconta Enrico, avevano famiglie, mutui e finanziamenti da sostenere. Ma si sa, se il lavoro manca, nessun imprenditore ti manterrà a mo’di figlio senza ricevere nulla in cambio.
L’illusione che queste 38 persone hanno avuto, però, fa del loro licenziamento un caso ben più grave di una semplice perdita di lavoro. Tra di loro, in 25 disponevano di un contratto a tempo indeterminato che dava la possibilità di fare progetti e realizzare sogni, come quello di metter su famiglia.
La chimera del lavoro “per sempre” è stata la causa della rovina di queste persone: fiduciose di avere un lavoro garantito, hanno infatti investito il loro danaro. Elencare singolarmente i casi, sarebbe solo un lungo elenco di debiti, ricorso alle finanziarie e sogni svaniti nel nulla o seriamente compromessi. Non è difficile immaginare come molti di loro si siano sentiti dopo aver avviato un mutuo per coronare il sogno di una casa ed un futuro.
L’enorme instabilità che il Paese sta attraversando, infatti, non trova alcun riscontro nel mondo dei prestiti. Nonostante la continua precarietà, prestiti, finanziamenti e mutui vengono continuamente stipulati da banche e istituti finanziari che spuntano come funghi. Il tutto aumenta un terribile senso di ansia del lavoratore che, quando sente il proprio posto di lavoro a rischio, inizia a fremere in prospettiva di quello che accadrà.
Sono tante le persone come Enrico che hanno deciso di rateizzare l’acquisto di un’automobile e, loro malgrado, dovranno provvedere a disfarsene non appena verrà a mancare il consueto stipendio mensile. L’ansia dell’instabilità economica condiziona inevitabilmente la vita quotidiana di una persona. Si inizia con il pensare continuamente i soldi, fino ad arrivare ad investire varie somme di denaro in “gratta&vinci”, lotto e scommesse varie.
Il cerchio è sempre quello: si perde il guadagno stabile e si ricerca la soluzione più semplice e veloce. Quando poi si vive in una città come Napoli, che di lavoro ne offre poco ed anche sottopagato, l’eco dell’instabilità è maggiore.
Ma quale soluzione si può trovare ad una situazione così poco rassicurante che ormai continua da anni? Andare via, e cercare nuovi sbocchi lavorativi in altre città, è da decenni la soluzione più praticata dai giovani partenopei. Tranne coloro che scelgono di navigare in acque poco quiete e cercare di cavarsela in un modo o nell’altro.
Non si parla di malavita, ma della fantomatica “arte di arrangiare” che caratterizza il meridione. “In un modo o nell’altro, si tira a campare”, per riuscire in qualche modo a cavarsela.
E allora, quale futuro per le nuove generazioni? Per il momento il vuoto. Enrico, intanto, con un volantino trovato nel punto scommesse della Snai, fa il conto di quanti sono 120 mesi, quelli necessari a restituire un prestito di qualche migliaia di euro. Chi ha distribuito quel volantino sa di sicuro il fatto suo: in un posto dove c’è chi scommette, c’è anche chi desidera un prestito. L’accoppiamento, evidentemente, è dei più scontati.
Diego Ruggiano
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