È passato più di un anno dal giorno in cui, nella capitale, la disputa tra il rappresentante di centro-sinistra Rutelli e quella di centro-destra Alemanno, si muoveva alla ricerca di milleuno garanzie da dare ai cittadini. Alla fine, come noto, vinse lo slogan “Roma Cambia” di Gianni Alemanno, allora appartenente ad AN, oggi membro del nuovo soggetto politico: il Popolo della Libertà.
Nei punti programmatici dell’attuale sindaco era predominante l’importanza data al tema della sicurezza. Un po’ sulla falsa riga del governo Berlusconi, anche a Roma si assisté ad un continuo andirivieni di allarmi titolati dai giornali: stupri, campi Rom abusivi, rapine, furti d’auto e delinquenze varie, la facevano da padrone.
Dopo un anno e qualche mese - quest’estate - nelle strade della capitale il Sindaco ha fatto affiggere i risultati delle politiche “sfratta-Rom”, sostenendo che si è passati in questo primo anno di gestione, da 100 a 13 villaggi. La prima domanda che ci si può porre è: “come ci sono riusciti?”. Delle due l’una: li hanno accorpati creando campi più grandi agibili e attrezzati, oppure, li hanno semplicemente cacciati via da dov’erano per poi farli insediare in qualche altro posto (sempre abusivo e disagiato, s’intende), dove poi li cacceranno di nuovo. Gli scettici che non vogliono abbracciare questa seconda tesi dovrebbero sapere che se ci sono 20mila nomadi su tutto il territorio romano, come ha asserito l’attuale giunta, si sarebbero dovuti costruire nell’arco di 1 anno, 13 campi dalla capienza di circa 1600 persone ognuno. Anche un non addetto ai lavori capirebbe che questo è, se non impossibile, molto difficile.
Le politiche applicate per risolvere l’esubero dell’immigrazione non solo sono inefficaci ma non posseggono nemmeno dal punto di vista programmatico una reale soluzione. Vi sono infatti i modi, i tempi e le persone con le quali applicare gli sfratti, ma nessuno si è curato di redigere un piano decente per collocare dignitosamente questa gente. Non si parla solo di Romanì (coloro i quali chiamiamo comunemente Rom), anzi, nelle strade della capitale vivono migliaia di senzatetto che, seppur riescono a trovare un buco dove vivere e coprirsi dalla pioggia, vengono puntualmente sfrattati dalla polizia municipale. Si, proprio la polizia municipale, quella che nell’immaginario collettivo dettato dai telefilm americani “dirige il traffico”; a Roma, come un po’ in tutte le città italiane, invece, si occupa di scovare i “buchi neri” dove dimorano le persone che non hanno dove dormire. Tra questi vi sono anche immigrati magrebini, somali, sud americani e stranieri dell’est europeo, tutti abitanti da sfrattare.
Se ci si incammina nei palazzi delle istituzioni locali, come i municipi, si incrociano dichiarazioni del tipo:“sembra che la giunta si occupi proprio di questo”, queste le parole dell’assessore alle politiche sociali del III municipio, quando si è accennato a parlare di senzatetto.
La situazione rasenta il ridicolo per un paese che, dal secondo dopoguerra ad oggi, ha ripugnato qualsiasi forma di discriminazione appoggiando retoricamente le politiche occidentali di libertà, uguaglianza e multiculturalità. A Roma, tutto questo non c’è, né nelle istituzioni né nel modus vivendi di molti cittadini; chi ha avuto la possibilità di visitare Parigi, Berlino, Londra, Amsterdam, Bruxelles o Madrid, avrà sicuramente percepito che di europeo, nella nostra capitale, c’è ben poco. Infrastrutture, servizi pubblici, ospitalità al turista, accoglienza dei lavoratori stranieri, affitti per gli studenti, servizi sanitari - e potrei continuare per altre centinaia di righe – tutto questo è assente, o perlomeno, scarso. Di sicuro la causa di tutto ciò non è l’attuale Sindaco, ci mancherebbe. Probabilmente però, se si perdesse meno tempo a creare fantasmi utili solo alla propaganda, come la lotta all’immigrato e alla criminalità, e si spendesse più tempo e denaro pubblico per colmare l’enorme gap che ci divide dal resto del continente, forse, non staremmo qui a lamentarci.
Diego Ruggiano
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