mercoledì 23 settembre 2009

Viaggio nei campi Rom

Pubblicato dal giornale online: www.inviatospeciale.com
Scritto da: Diego Ruggiano (un particolare grazie a Silvia ed Ermelinda)

“Andate via, smettetela di fare foto! Non siamo Africa qua”. Ha esordito così una donna che ci ha notato mentre eravamo davanti alla sua baracca ed inquadravamo dei bimbi incuriositi dalla macchina fotografica.

Era come essere stranieri in terra straniera, estranei in casa d’altri. Diffidenza e curiosità si mescolavano in quel l’universo di persone dalle mille storie, eppure, in quella caleidoscopica realtà si possono scorgere i segni più semplici di una somiglianza profonda.

Eravamo al “Casilino 900”, uno dei più grandi villaggi romanì d’Europa. VI si accede grazie ad una stradina che sbuca su Via Casilina, un’arteria della capitale. Non appena si imbocca il viottolo inizia il senso di estraneità al posto e sembra che si passi da un mondo all’altro. La frontiera reale ed immaginaria allo stesso tempo, separa traffico, clacson e file interminabili di auto da un paesaggio dominato da polvere, lamiere e rottami.

Andando avanti per qualche centinaio di metri compaiono le prime abitazioni e definirle tali, potrebbe essere eufemistico: tutto quello che si è visto in tv, sui giornali, per internet, si materializza e si mostra per quello che è. Senza aggettivi, una baraccopoli. Case di lamiere e di legno che fanno pensare ad una favela brasiliana, ad uno slum africano, prendono forma dinanzi agli occhi di chi si addentra nel campo ed è inevitabile non esclamare: “ Pensare che è tutto sotto casa”.

Eppure non siamo in Africa. L’ordinario della vita quotidiana è dietro l’angolo, i bimbi giocano, le mamme e le nonne chiacchierano, lavano, stirano, stendono o riassettano, i papà sono fuori per lavoro o si occupano delle faccende di casa, gli adolescenti escono con il motorino, quelli più grandicelli con le macchine e lo stereo a tutto volume, gli anziani giocano a carte e tutto vive nell’atmosfera rassicurante della “normalità”.

La diffidenza però è reciproca. Le ultime campagne elettorali, certa stampa e quasi tutti i canali televisivi hanno prodotto costanti tensioni con gli italiani, che poco li tollerano, e dall’altra parte anche romanì non voglio ‘cambiare’ - se non i giovani, ultimamente – le proprie tradizioni millenarie e così due razzismi eguali e cocntrari si scontrano senza soluzioone di continuità.

“Alcuni di loro ci domandano da dove veniamo e per chi lavoriamo. Una volta – ci spiega una signora sui 50 anni - hanno scritto che mangiamo i topi e i cani”. Ecco come si acuisce, ed è percepibile, il senso di diffidenza verso gli ‘stranieri’ e noi lo sentiamo come fosse di ghiaccio, mano a mano che ci addentriamo nel villaggio.

Non è più una questione di culture e di identità diverse. Qui prendono forma le conseguenze di un contrasto nutrito dalla propaganda della polica, dagli effetti causati da provvedimenti di legge segregazionisti, dalle proteste degli abitanti delle zone limitrofe, aiutati a preoccuparsi da media occupati nella ricerca di scoop da film ‘noir’ francese.

I romanì si sentono i ‘cattivi’ della situazione. Tra vicoli della baraccopoli chi incontri dice spesso “c’è una caccia al Rom” e si sente escluso.

Il razzismo c’è e si avverte, non è solo retorica politica o enfatizzazione di una minoranza della popolazione. La diffidenza e l’odio verso il diverso è un aspetto imprescindibile nel rapporto di reciprocità tra ‘loro’ ed i cittadini italiani.

A dimorare presso il campo “Casilino900” sono 650, di cui, 220 sono bambini. L’elemento fondamentale è la distinzione tra migranti provenienti da diverse zone dell’aria balcanica. All’interno del campo [...] continua su http://www.inviatospeciale.com/2009/09/viaggio-nei-campi-rom-e-sinti/

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