venerdì 26 febbraio 2010

Disobbedire e dissentire? Ma cosa vuol dire?

Ci troviamo sempre più volte davanti a notizie che spettacolarizzano le manifestazioni che si oppongono al cattivo governo del paese. Slogan che oscillano nelle piazze contro la corruzione, le mafie e la ‘diversa’ giustizia nei confronti del premier, negli ultimi anni, la fanno da padrona.
Digiuni, sit-in e incatenamenti, invece, sono la parte più spettacolare e mediatica del distorto fenomeno del dissenso. Mentre, in un’ultima istanza, con l’avvento dei social network, è sorta anche l’opposizione con adesione a gruppi, idee e personaggi.
Se Thoreau (filosofo statunitense degli inizi dell’800), che per opporsi alla schiavitù decise di non pagare più le tasse, vedesse quello che sta accadendo, si rivolterebbe nella tomba.
La disobbedienza civile, che lo scrittore americano trattò in un celebre saggio, ammette la disobbedienza alle leggi per preferire il diritto, dando quindi all’individuo una forte responsabilità nella scelta tra giusto e sbagliato. Il dissenso verso un governo, vuol dire innanzitutto essere in opposizione alla volontà di una fetta altrettanto grande di cittadinanza che preferisce quel governo, salvo non si parli di un governo autoelettosi.
Nel nostro paese il governo è stato eletto con metodi democratici, chi si permette di dire il contrario rischia di avere un concetto distorto della democrazia stessa.
“ Si lasci che ogni uomo renda noto quale tipo di governo susciterebbe in lui il rispetto, e quello sarà il primo passo per riuscire ad ottenerlo” sono queste le parole di Thoreau in un passo di civil disobedience.
Noi rendiamo nota la nostra scelta, attraverso le elezioni: una ‘ics’ che sceglie il disegnino che si è saputo pubblicizzare meglio. Nel paese non c’è coscienza politica, pochi sanno cosa succederà votando questo o quell’altro simbolo, molti credono di sapere ed altri non si interessano della questione.
Però, seppur plagiando una massa di imbelli, un governo una volta insediatosi al potere, deve avere tempo e spazio di agire. Laddove non dovesse riuscire a dare dei benefici al paese, va contestato.
Detto questo, si deve riconoscere che al puzzle mancano alcuni pezzi. Come fa un paese senza coscienza politica a contestare un governo? Come fanno milioni di cittadini a decidere se continuano a seguire dei guru senza pensare con la propria testa? Come si dissente se a farlo è sempre un potente o comunque qualcuno che lavora per lui?
Norberto Bobbio ha risposto a queste domande individuando due modi di disobbedire che chiama “non violenza collettiva”: il boicottaggio (del potere economico) e la disobbedienza civile (verso il potere politico).
Il disordine nasce dall’unione di tante coscienze, l’ordine, anche. Chi ci governa e chi ci ha governato in passato, ha fatto in modo che fossimo ben sedati e inerti davanti a quello che accade davanti ai nostri occhi. Quanti contestano le multinazionali, ma continuano a mangiare al McDonald? Quanti criticano il canone RAI ma continuano a pagarlo? E quanti contestano l’attuale premier ma continuano a vivere di Mediaset e Mondadori?
Se si boicotta qualcosa, la si deve evitare, iniziando dal proprio microcosmo.
Tutte le manifestazioni plateali di dissenso che possono portare l’interesse dei media, come incatenamenti o digiuni, oppure quelle che portano i grandi titoli corredati da giganti numeri di folle in piazza, non porteranno a nulla, se non ad asservire i tanti aderenti e spettatori all’ennesimo padrone.
Perché al posto di metterci in fila come tante pecorelle non ci spiegano cosa stiamo contestando, quali sono i nostri diritti e i nostri doveri? Sarà mica che serviamo più come numero e spettatori, anziché come attori?
Il futuro di ognuno di noi, è nelle nostre mani e non va ceduto a nessuno.

Diego Ruggiano

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