mercoledì 10 marzo 2010

Stagisti da sfruttare

Pubblicato da Inviatospeciale.com
Scritto da Diego Ruggiano

L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La nostra Carta costituzionale esordisce così all’articolo 1, eppure, più che sul lavoro, il nostro Belpaese, sembra essere legittimato sul precariato, gli stage e i tirocini. Anche se quest’ultime due terminologie sono effettivamente l’una la traduzione dell’altra, dal francese all’italiano, c’è una sottile differenza. Lo stage indica un periodo di formazione volontaria svolto in ambito lavorativo all’esterno dell’Università. Il tirocinio, invece, è un’occasione di formazione prevista come obbligatoria dal piano di studi del singolo corso di laurea, triennale o specialistica.

C’è però un minimo comune denominatore: quello di permettere ad un’azienda non solo di formare un lavoratore, ma di non pagarlo per un periodo che può arrivare, a seconda dei casi, anche a 12 mesi. Chiaramente, “fatta la legge trovato l’inganno” anche stavolta, molte volte si superano anche i 12 mesi concedendo un piccolo rimborso spese allo stagista che, suo malgrado, nella speranza di essere assunto, continua a sottoporsi a qualsiasi condizione.

Sembra quindi che lo stage ed ogni forma di prestazione lavorativa a stipendio zero dovrebbero essere in realtà legate al periodo universitario-scolastico, o quello subito dopo il conseguimento di un titolo di studio. Eppure, come molte persone hanno provato sulla propria pelle, tutto questo continua anche dopo.

Prendiamo in esempio un aspirante giornalista, che vuole fare della sua passione un lavoro. Il percorso che dovrà fare, dopo aver imparato le nozioni basilari del suo mestiere, sarà quello di bussare alla porta di un piccolo giornale e chiedere una collaborazione. Per diventare giornalisti, però, bisogna iscriversi all’albo dell’Ordine dei Giornalisti (Odg) ed ogni regione ha un Ordine, con modalità di iscrizione differenti.

Ed è qui, nel giornalismo come in molte altre categorie, che entra in gioco il sottile meccanismo degli ‘Ordini’. Questi dovrebbero raggruppare e tutelare la propria categoria dai soprusi del mondo del lavoro e, nel contempo, assicurare che i propri iscritti siano specializzati e competenti. Spesso infatti, per accedervi c’è bisogno di un esame che attesti la competenza del candidato.

Come già detto però, nel mondo del giornalismo esiste un Ordine per ogni regione, tutti accomunati da una caratteristica: quella della richiesta di una quantità di articoli, variabile dai 60 agli 80, da conseguire in due anni di collaborazione continua e retribuita, presso uno o più giornali. Senza tale collaborazione, non ci si potrà iscrivere nell’albo con il titolo di pubblicista.

Per quanto questa regola sottolinei che la collaborazione deve essere “retribuita”, non è difficile da immaginare che spesso i giornali sfornano ritenute d’acconto fasulle, che dichiarano di aver retribuito il proprio giornalista pur avendogli soltanto corrisposto un misero foglietto che attesterà la sua collaborazione “continuata”.

Non un euro, salvo in rari casi, viene sborsato dagli editori per la retribuzione, seppur minima, di dozzine di persone che riempiono le pagine dei loro giornali. L’OdG, nonostante prescriva nel suo regolamento le condizioni delle collaborazioni, altro non fa, nel momento dell’iscrizione all’albo, che controllare che il numero di articoli sia equivalente a quello richiesto e che le ipotetiche somme di denaro ricevute dall’aspirante giornalista siano maggiori o uguali a quelle stimate.

C’è infatti bisogno non solo di un numero ben preciso di articoli in questi due anni, ma anche di una corrispondente somma di fatturato che, in teoria, è servita come retribuzione al lavoratore. A rimetterci è anche stavolta l’ultimo anello della catena: il giovane aspirante giornalista.

Un percorso simile e per molti aspetti più tortuoso, è quello che gli avvocati percorrono per realizzare il loro sogno. In questo caso però, l’albo è obbligatorio: senza l’iscrizione, infatti, non si può esercitare la professione.

I giovani avvocati, dopo i 5 anni di università passati a dimenarsi tra libri, articoli e concetti spesso richiesti a memoria, devono iscriversi all’albo dei praticanti, che avrà una durata di 2 anni. L’iscrizione a questo primo albo ha come requisito la sola laurea in giurisprudenza.

Dopo un anno si può ottenere l’abilitazione per l’ammissione in giudizio per gestire alcune cause. Alla fine dei 24 mesi, ci sarà il momento delle prove scritte e orali che, una volta superate, porteranno alla tanto agognata iscrizione all’albo degli avvocati. Durante questo percorso però, il giovane aspirante avvocato, dovrà ‘regalare’ il proprio lavoro presso uno studio di avvocati, che con molta probabilità non gli garantirà neanche un rimborso spese.

Il disonesto cammino degli stage non si limita alle categorie che hanno bisogno di un iscrizione ad un albo. Ad offrire stage a costo zero (ed i costi si intendono per le aziende, non per i lavoratori) sono anche gli enti pubblici e i partiti politici che in pubblico deprecano e disprezzano questo genere di sfruttamento.

Non è difficile, navigando un po’ in rete, imbattersi nella proposta di stage di questo o quel partito politico che ricerca figure professionali come l’addetto all’ufficio stampa. Anche se è ovvio che non si possono assumere persone non competenti, senza prima aver fatto un periodo di prova, in questi uffici è possibile riscontrare l’assoluta assenza di lavoratori stipendiati che affiancano gli stagisti.

Ci sono infatti, stagisti più anziani che servono da sussidio a quelli nuovi e le nuove leve che serviranno poi a formare gli altri in futuro. Non siamo quindi dinanzi al solito turn-over delle aziende, bensì davanti un riciclo costante che garantisce un servizio a costo zero. In questo caso, infatti, l’ufficio stampa in questione non ha costi per il partito politico che lo deve gestire, se non quelli delle connessioni internet, l’acquisto dei materiali e l’affitto dei locali. La forza lavoro è praticamente offerta a costo zero.

L’unico fattore che spinge gli stagisti a svendere il proprio lavoro, è l’esperienza da aggiungere al famigerato curriculum. La convinzione che un’ennesima voce alla categoria “esperienze lavorative” possa aumentare le possibilità di trovare lavoro in futuro conduce migliaia di persone a diventare tirocinanti anziché lavoratori con un minimo salariale.

La filastrocca da parte di chi offre questi pseudo-rapporti lavorativi è sempre la stessa: “Fa curriculum. Dire che hai collaborato presso di noi sarà un trampolino di lancio per la tua carriera”. Un’odiosa proposta, soprattutto se fatta da chi, come un famoso partito dell’attuale opposizione, quotidianamente depreca lo sfruttamento dei lavoratori e decanta il predominante ruolo che i diritti hanno nella vita di un cittadino.

Eppure, nonostante questi lati bui che i tirocini e gli stage presentano, c’è chi è riuscito, grazie ad una borsa di studio, ad ottenere una gratificante esperienza presso la Regione Campania. Anche in questo campo, la speranza di un assunzione finale, resta solo una chimera, però, come dovrebbe accadere negli altri posti per stagisti, come racconta Luigi, un laureato in scienze politiche di 27 anni, “Siamo entrati nel merito delle pratiche analizzate dall’ufficio, nel nucleo di valutazione per il Contratto di Programma Regionale”.

Sembra infatti essere soddisfatto, seppur triste per il congedo finale, della sua esperienza. Opporsi agli stage, infatti, non vuol dire in nessun modo intralciare la formazione di alcuni profili che hanno bisogno di un certo tempo di esperienza per acquisire delle competenze.

Nel nostro Paese però, si abusa di questa situazione, approfittando non solo della necessità e delle ambizioni delle persone, ma sguazzando anche nelle enormi lacune che la legge, forse non troppo casualmente, lascia.

Le responsabilità di questa situazione proviene non solo dalle aziende che ovviamente fanno i propri interessi ad assumere manovalanza a costi bassi (o nulli), tanto meno è solo della classe dirigente che non ha tutelato i cittadini da possibili angherie lavorative. Ma, per quanto possa risultare bizzarro, è anche di chi, come molte persone, si prostra all’esperienza “stage” senza chiedere nulla in cambio.

In questo caso, la colpa non è quindi solo del “padrone” che si serve dello “schiavo”, ma anche del servo che non fa nulla per ribellarsi.

Diego Ruggiano

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