Scritto da: Diego Ruggiano
“Siamo ‘le’ trans non ‘i’ trans”: è questa una delle prime cose che Sonia tiene a sottolineare dopo aver visto, letto e ascoltato l’enorme trambusto che in questi giorni sta affollando tivù, giornali e rotocalchi scandalistici.
Chiamarli trans, al maschile, è infatti un modo subdolo, nonché ignorante, che tiene ad evidenziare la loro natura mascolina e celare qualsiasi tratto femminile.
Vi sono infatti due generi di transessuali: coloro che da uomo decidono di diventare donna e chi invece da donna decide di diventare uomo. I primi sono i più conosciuti, anche se adesso, dopo che una donna divenuta uomo è entrata nel grande fratello, sicuramente gli italiani inizieranno a conoscere anche le differenze all’interno del mondo transessuale.
Parlare di una transessuale seguendo l’ordine di categorie che abbiamo interiorizzato sin dalla nascita rischia di diventare un lavoro capzioso e inutile. Ci insegnano a distinguere infatti due generi di persone, nell’ambito della sessualità: eterosessuali ed omosessuali. Con questi due enormi cataloghi, l’essere umano ha preteso di spiegare una materia che invece vede miriadi di sfumature.
“Sonia” è una transessuale di 30 anni, ha iniziato ad esserlo molti anni fa. Si presenta molto più alta di una comune donna, con imponenti spalle e pronunciati zigomi; i suoi lunghi capelli biondi, le sopracciglia, le mani e le sue labbra, sono quelle di una persona che ha molta cura del suo aspetto estetico. Se non fosse per la sua voce e la sua stazza, sarebbe facilissimo scambiarla per una donna genetica.
Ha difficoltà a spiegare chi è, e chi sono i suoi clienti. Non si definisce in alcun modo un gay, tanto meno un uomo: “Non lo sono mai stata, sono nata donna nel corpo di un uomo, adesso sono nel corpo che ho sempre sognato e devo ancora completare alcune cosucce” (si riferisce all’operazione che le asporterebbe definitivamente i genitali maschili). Dice però che ci sta ripensando.
E’ in attesa per quest’operazione, eppure teme che per colpa di questo possa perdere il suo fascino e il suo tanto richiesto “status” di transessuale.
“Molti clienti vengono da me perché sono una trans, se fossi una donna ne perderei a decine”. Nonostante tutto non riesce a spiegarsi se i suoi clienti siano omosessuali o meno, l’unica cosa che tiene a specificare è che un gay non si sognerebbe nemmeno lontanamente di avere una relazione con lei, “sono richiesta dagli uomini – dice con tono scherzoso – gli omosessuali riescono ad essere solo miei amici”.
Ascoltarla vuol dire star lì e mettere da parte tutte le convinzioni che si avevano pochi minuti prima di conoscerla. “Decostruzione del proprio pensiero”, la chiamano i sociologi e gli antropologi: vuol dire buttar giù quello che si pensa, rimettersi in discussione, e aprire la propria mente osservando un fenomeno da prospettive diverse. Provare a comprendere “Sonia”, restando immobili sul piedistallo del proprio punto di vista, vorrebbe dire: perder tempo e alzare un muro di enorme diffidenza.
Proprio la diffidenza, frequentemente trasformata in disprezzo, sembra essere alla base del rapporto con gli altri. “Sonia” è italiana, in passato si è prostituita per strada ed ha avuto la possibilità di conoscere molte trans gender straniere, brasiliane perlopiù. I loro problemi sono di natura differente.
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