sabato 23 febbraio 2013

Ecco chi voto


Ho provato a resistere, ma alla fine, proprio nei giorni di silenzio elettorale ho sentito un forte bisogno di dire la mia. L’unica cosa che è arrivata al limite è la mia nausea all’ascolto di frasi ad effetto come : “Votare è un dovere civile” “Se non voti dai il voto alla maggioranza” “Non so chi voto ma comunque vado alle urne”. Fermo restando che la stragrande maggioranza di chi esprime queste frasi a mo’di assiomi insormontabili non capisce un emerita mazza di sistemi elettorali, doveri civili e diritto al voto, ci tengo a focalizzare la mia attenzione non tanto sulla scelta della “X” da apporre sulla scheda elettorale, bensì sull’importanza di scegliere un governo.

Noi non scegliamo. (giuro che solo qualche rigo sarà pesante)
Avrei voglia di affrontare un excursus sulla storia del voto e del potere. Ci perderei ore, pagine e a dire il vero non so se ne sarei capace – la distanza tra sapere e spiegare è immensa – pertanto, vorrei solo ricordare che dall’ancien regime, alla rivoluzione francese fino alla creazione degli stati-nazione, è cambiata la forma ma non il contenuto. Il passaggio è stato da sudditi a cittadini, ma le vessazioni e la capacità di scegliere come si articolerà il futuro di un’intera comunità di persone (siano loro feudo, stato o unioni di stati) non è cambiata di molto.
L’analisi di un periodo storico non può prescindere dai rapporti di forza economici che vigono in quella data società in quel dato periodo storico. Non posso non considerare che chiunque salga al potere sarà inevitabilmente condizionato da un interesse economico nascosto alle sue spalle. La politica è solo l’ultima delle matrioske, le bambole al suo interno sono ben nascoste e più influenti.
Non alludo all’unione europea, alla moneta unica o al potere d’acquisto della vecchia lira, è ben lungi da me spalleggiare discorsi sentiti e risentiti sui palchi in questi giorni. Parlo di poteri economici, poteri che hanno fatto crollare nazioni intere, poteri che hanno prosciugato le liquidità delle banche per mettere in ginocchio i paesi alla stregua di un risiko della realtà.

Passata questa parte di tedio, provo a ringiovanirmi e a passare alle cose di tutti i giorni.
L’avvento del fascismo, per quanto se ne voglia dire, non è assolutamente stato un evento traumatico per l’Italia dell’epoca. Molti, che negli anni successivi all’insediamento di Mussolini hanno rinnegato il regime, erano entusiasti di una pulizia politica. Si veniva da un interventismo gestito male, da una politica che aveva bisogno di svecchiarsi, con dei dinosauri seduti in parlamento da secoli che, seppur passati alla storia come grandi statisti, ricevevano violenti critiche. Il fascismo fu l’antipartito che odiava tutto il “vecchio” promuovendo un confuso e poco lineare “nuovo”.  Certo, stavolta l’allusione c’è e si vede: il movimento 5 stelle.
Quando iniziai a studiare la storia dei partiti italiani e con se, l’avvento di Benito Mussolini, mi feci una domanda ritenuta assurda e scandalosa dai miei amici simil-comunisti: “chissà se fossi stato fascista vivendo negli anni ’20”. Blasfemia. Eresia. Tuonarono in tanti dicendo che stavo vaneggiando. Ora, con questo M5S so darmi una risposta: “No, non sarei stato fascista, ho un cervello, vostro malgrado”.
Non vinceranno le elezioni, eppure è il fenomeno che più mi spaventa. Poco mi interessa di Berlusconi che in un modo o nell’altro non sta lasciando alcuna eredità, quindi scoccata la sua ora, non lascerà che un triste ricordo alla storia di questa nazione e alla mafia che prova a gestirla.
Neanche voglio focalizzarmi su un farraginoso PD, che prova a mettere insieme cause di una vecchia sinistra travestendosi da democratici e facendo pace con la DC di una volta. Figuriamoci se voglio perder tempo con un centro formato da Monti – Fini – Casini, mi fanno solo sorridere.
Ripeto: quello che temo è l’evolversi del M5S, che di suo, scritto così, sembra il nome di un fucile!

Ecco, lo sapevo, alla fine ho parlato di politica. Ahimè.
Ma se la politica non è che un surrogato dell’economia, perché votiamo? Perché facciamo finta di scegliere questo o quel governo, se alla fine oltre a qualche imu in più e qualche macchina blu in meno, non cambia mai nulla? Cosa dovremmo fare?
Nella società del consumo, dove il mio Ipad vale molto di più delle tue conoscenze e la tua macchina da migliaia di euro vale più della mia volontà di voler mettere su famiglia, il “cosa fare” è un oggetto non identificato che giace nelle coscienze di ognuno di noi ma non trova né voce né rumore.
Ho trovato un flebile suono nella mia coscienza nel NON VOTO. Mi rendo conto che è inutile votare, che se il potere decide di mettere in ginocchio l’Italia o l’Europa, lo fa a prescindere del mio e del vostro voto.
Mi basta leggere qualcosa sul “lunedì 19 ottobre 1987”, solo così capisco che ogni mattina mi devo svegliare, devo combattere e sopravvivere, e che nessuno dei quattro pagliacci candidati potrà mai darmi un futuro. Il mio futuro è nelle mani di un’economia demiurgica che decide per me. In un mondo globalizzato fondato sui consumi e sui servizi, le nostre scelte sono sempre meno importanti. Tornare allo stato embrionale, dove la decisione di 1000 persone influivano sulle scelte di una città intera è ormai impossibile. Siamo belli e che imbrigliati in una ragnatela di debiti, l’unica speranza è di continuare a stare dalla parte dei creditori o almeno sotto la loro protezione.

Io non voto. Perché non conto un cazzo. Proprio come te che hai appena finito di leggere.

DR

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